giovedì 21 luglio 2011

Delle cose che non si rescono a spiegare. Venezia.


Venezia è una cosa che è inutile tentare di spiegare, perchè è come un sentimento: appena provi a descriverlo ti scappa da tutte le parti.
Di Venezia mi piace già l'aria che respiro a due passi dal portone di S.Lucia: è come se mi lasciassi il conosciuto alle spalle, e lei mi venisse incontro, già dentro le porte, a prendermi per gli occhi, spettacolo di luce riflessa e bianco e cielo. Quando sono a Venezia mi sento languida come le alghe verdi che si appiccicano sui muri delle case a pelo d'acqua, e vanno lente avanti e indietro, galleggiando in una danza del ventre che ti sembra sempre di vederle partire al largo, e invece rimangono sempre lì.
A Venezia mi perdo regolarmente: è la città più adatta ai nasiall'insù, categoria di cui faccio parte in termini onorari. Venezia è però l'unico luogo in cui smarrirsi senza agitazioni: non c'è il rischio di arrivare chissà dove, perchè spunti sempre in qualche campo, in qualche calle che non avevi visto, o di cui avevi visto poco o niente, e anche solo il taglio d'ombra spariglia tutte le carte e ti pare di esserci per la prima volta.
Venezia è bella per chi ama la solitudine contemplativa, perchè trovi sempre - incredibilmente per una città da milioni di turisti - una riva solitaria in cui ti puoi sedere a riposare, e guardare lente le onde del canale annunciare l'arrivo di una barca, che giunge sempre all'improvviso, sinuosa e danzante, già vicina, libera dal nascondino del muro che mozza immancabilmente lo sguardo alla prima o seconda ansa.
Secondo me l'atmosfera di Venezia è così magica perchè la sua aria è fatta di milioni di sospiri di chi la vede e, trattenendo il fiato, se ne innamora.
L'arte è dappertutto a Venezia, che si acquerella da sola mentre si specchia sul mare, da riva a riva, ponte su ponte, sberleffo dei bevitori di ombre improvvisati poeti, autentici profeti del passato.
Quello che credo, poi, è che Venezia la possono amare davvero solo gli inquieti, perchè la possono sentire; tutti gli altri si fanno foto a Rialto e scarpinano per arrivare a San Marco prima della guida per riuscire a comprarsi una gondola di plastica e fare chees accanto a un gondoliere.
Di Venezia mi piace l'acqua, che è dappertutto, e tu ci cammini sopra, e la guardi dall'alto, ma è come se ci fossi contemporaneamente dentro, perchè è ovunque, anche nella voce della gente. Il dialetto dei veneziani è  un corso d'acqua pure lui: cosa cantilenante, un po' snob, certo aristocratico nel suo essere di gente unica al mondo, che del mondo pare non fare parte.
La notte a Venezia è uno sfondo di presepe, è una distesa di vetri rotti che lanciano riflessi, è il tocco del vento che viene dal mare tra i capelli, è la descrizione di uno stato d'animo buttata giù da un bravo scrittore, e uno sguardo che cerca di andare distante ma si infrange addosso al faro più vicino o alla sagoma di un ponte su cui c'è sempre un pedone solitario stretto nel suo cappotto.
A chiamarla città, Venezia, mi viene un certo fastidio, perchè della città non ha davvero nulla: nè il traffico, nè i palazzoni, nè le strade coi marciapiedi, nè i semafori nè la periferia pericolosa o la percezione costante di affari sempre imminenti. Venezia non è affatto una citta: ci entri e tutto il resto del mondo non sai che fine fa; è il posto del senso di meraviglia, delle cose che vedi e non tocchi ma che devi solo respirare. E' una cornice in cui si muovono i sentimenti, un set in cui le persone vivono quello che che hanno dentro, e il recitare quello che sono fuori passa a solo contorno. Un ballo in maschera che quando sali in treno e arrivi a Mestre ha già tutto un'aria di ridicolo.
Anche la nebbia, a Venezia, si inchina alla sua maestosità e, lungi dall'essere la bastarda del resto della Pianura Padana, le si accomoda intorno al collo e la ingioiella con una collana di dolce e delicata tristezza, vezzo di una vecchia signora che, seppur decrepita, non esce mai senza farsi bella per nessun altro se non per se stessa.
Ho sempre l'impressione, poi, che Venezia sia come i suoi gatti: se ne sta lì e in definitiva se ne frega abbondantemente degli altri, non le importa di apparire, lei solo sta, e ho il sospetto che sia nella sua indolenza di matrona che il mondo le riconosce il suo inscatolabile fascino.
Venezia è anche il tributo che la bellezza paga alla natura con le sirene e le passerelle e il naturale corso delle cose a cui si arrende flaccida e pigra, come i veri signori, lasciando l'inesorabile fare il suo corso, che la mangia a pezzetti, accarezzandola di acqua cattiva che tutto abbraccia, presagio di affondo.
La Venezia che conosco io ti aspetta in quegli angoli che scopri per caso, e poi non ti ricordi mai più la strada quando ci vorresti tornare, e quando inizi a rattristarti pare consolarti a modo suo, e colonne imponenti ti abbracciano gli occhi appena metti il naso in un piccolo campo, e la meraviglia ti prende, là, su gradini di marmo vecchi e scivolosi.
Venezia sono così tante cose che è come quando prendi un sospiro grosso e vorresti metterci dentro più aria, ancora e ancora e ancora, ma non te ne sta più. E' così malinconica che vorrei essere l'acqua che scorre tra le sue fondamenta, per non lasciarla mai.

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