giovedì 28 luglio 2011

Come un pavesino nel the


Pensavo. Pensavo a tutte quelle cose che siamo ormai così abitauti a fare perchè le abbiamo sempre fatte e sappiamo che vanno fatte, e a tutti gli ingranaggi sociali che si trascinano dietro, e al loro essere nient'altro che un muro di cartongesso, che al primo pugno vanno giù. E, ok, non si sta capendo niente di questo discorso, ma io so solo che oggi mi sono trovata sotto una pioggia battente, inzuppata come un pavesino nel the, capelli sgocciolanti e lenti a tergicristallo, ed ero felice.
Ero felice di aver corso a passi lunghi e scivolosi per ripararmi sotto la tettoia, felice che la distanza con le altre persone alla pensilina si fosse azzerata perchè, si sa, nella difficoltà trova nuova linfa la condivisione, ed eravamo come tanti bambini che ne hanno combinata una e si guardano ridendo, di sottecchi, solidali e birichini, mentre cerchiamo di asciugare alla meno peggio gli occhiali con un lembo della maglietta e facciamo spazio per l'ultimo arrivato a riparasi con la borsa. Scialuppa di salvataggio, salta su.
E insomma, che bella la pioggia addosso, tanta e invadente, e chissenefrega se i capelli erano belli in piega, e mi sono bagnata maglia maglietta pelle ossa circuiti vene cellule e bottoni. E chissenefrega se i vestiti mi stavano appiccicati che più non si può, e chissenefrega se le All Star mi hanno fatto diventare blu i fantasmini, e che ridere a evitare le docce da pozzanghera degli automobilisti stronzi, e che stupida sentirmi dodici anni perchè mi ritrovo senza ombrello in città un pomeriggio di luglio che ha deciso di piovere forte.

lunedì 25 luglio 2011

Qua si naviga a vista (cit.)


Premesso che avevo già annunciato la chiusura delle trasmissioni di questa mia lavagnetta scrivi-cancella-scrivi che è il natadimarzonatamarziana, i fedelissimi si saranno accorti che il 100 non mi ha scoraggiato, e al conto tondo abbiamo aggiunto qualche fratello cadetto. Beh, diciamo che ho pensato di darmi una seconda possibilità, si fottano i traguardi, e quando ho voglia di scrivere, scrivo. Che sarà presumibilmente meno, ma presumibilmente sarà.
E, visto che di tempo ce n'è sempre poco, mi devo annotare che bisognerà parlare di:

- necessità di risparmiare, ora, chè i tempi sono duri, e DEVO RIDURRE LE SPESE, PUNTO
- maledizioni alle compagnie assicurative di ogni ordine e grado
- riportare su carta (web) la gustosissima discussione di due tizi del dodese in autobus di stamattina
- riflettere sulle impressioni al rivedere delle lentiggini disperse da svariati anni, e ragionare sulla nuova sensazione di ma pensa le cose come sono cambiate, e io come sono cambiata, e tu come sei sempre lo stesso ma diverso perchè io ho occhi diversi, e cristo, ti ho pure citato nel titolo, sei il solito cucciolo a mille chilometri dalla terra, buonafortuna alla tua anima tormentata.

E insomma, ci sarebbe anche dell'altro, però adesso ho solo voglia di dormire, perchè la giornata è stata lunga e piena di cose nuove - tante, tantissime - e, sì, sorrido.

sabato 23 luglio 2011

Chiamalo destino, chiamala Amy


Io lei la adoravo a  distanza: senza essere una fan da strapparsi i capelli, sentivo di capire le debolezze e le storture della sua persona, e - a parte la sua musica straordinaria - mi piaceva a pelle, un discorso di sim-patia, di sentire insieme. Mi piaceva la sua ruvidezza che tracimava quasi nell'antipatia: a non stare attenti si sarebbe scambiata per insolenza, ma era proprio incapacità di stare bene, era un reggersi in piedi sempre mezzo claudicante, un cercare un posto nel mondo e non trovarlo, era un non vi chiedo altro se non di lasciarmi stare. Era uno di quegli antipatici che ti piacciono, e basta. E poi quella voce, dio, che voce.
E mi sono sempre chiesta, questi mezzi geni che finiscono per autodistruggersi, arrivati al capolinea, che idea avranno dei loro mondialmente osannati talenti: li odieranno? facendo parte della loro persona non ci faranno neppure caso? farebbero volentieri a cambio con una vita normale, cedendo a qualcun altro i tormenti di chi è destinato a sentire sempre troppo? quando il sapere di aver emozionato milioni di persone con il loro talento e le loro straordinarie capacità avrà smesso di bastargli? penseranno, come tutti noi poveri mortali, chissà come sarà il mondo senza di me? In verità credo che noi, piccoli spettatori di qui giù, dimentichiamo sempre che dietro al cardigan di turno, agli eccessi fastidiosi, alla testa cotonata e all'eyeliner esagerato del caso c'è sempre una persona e basta. Vene, cuore, occhi, gambe e paure in ogni caso, che si chiami Amy, Janis, Jim, Jeff. Punto.
Adesso ci saranno tutti quei discorsi del cazzo che seguono sempre a una morte celebre, cercata o comunque certo non schivata. Sì, si drogava. Si è letteralmente buttata via. E' stata una sciocca. Ora che l'avete detto vi sentite meglio voi, che fortunati in vite assai mediocri ma ai vostri occhi soddisfacenti, non avete mai neanche lontanamente concepito l'idea del suicidio? Odio quando gli sputatori di sentenze e banalissime banalità spuntano dall'angolo della chiesa addobbata a funerale. Non sapevate e non saprete mai un cazzo di lei, nè di chiunque altro si trovi a vivere nei propri abissi, che ad un certo punto se ne lascia risucchiare. Datevi quindi la mano con tutti quelli che adesso, su facebook in primis, saranno diventati improvvisamente fan dell'artista morta, di cui a malapena hanno sentito parlare, perchè ci si deve stringere a cordoglio pubblico, chissenefrega se la ritenevate una mezza fulminata.

In definitiva, tutti questi discorsi sono davvero inutili. Se n'è andata una di quelli che, grandi, non sanno fare altrimenti che essere autentici, e questo è quanto.
Ciao Amy, coi tuoi 27 anni di tutto tanto, fatti una risata, almeno adesso.

giovedì 21 luglio 2011

Delle cose che non si rescono a spiegare. Venezia.


Venezia è una cosa che è inutile tentare di spiegare, perchè è come un sentimento: appena provi a descriverlo ti scappa da tutte le parti.
Di Venezia mi piace già l'aria che respiro a due passi dal portone di S.Lucia: è come se mi lasciassi il conosciuto alle spalle, e lei mi venisse incontro, già dentro le porte, a prendermi per gli occhi, spettacolo di luce riflessa e bianco e cielo. Quando sono a Venezia mi sento languida come le alghe verdi che si appiccicano sui muri delle case a pelo d'acqua, e vanno lente avanti e indietro, galleggiando in una danza del ventre che ti sembra sempre di vederle partire al largo, e invece rimangono sempre lì.
A Venezia mi perdo regolarmente: è la città più adatta ai nasiall'insù, categoria di cui faccio parte in termini onorari. Venezia è però l'unico luogo in cui smarrirsi senza agitazioni: non c'è il rischio di arrivare chissà dove, perchè spunti sempre in qualche campo, in qualche calle che non avevi visto, o di cui avevi visto poco o niente, e anche solo il taglio d'ombra spariglia tutte le carte e ti pare di esserci per la prima volta.
Venezia è bella per chi ama la solitudine contemplativa, perchè trovi sempre - incredibilmente per una città da milioni di turisti - una riva solitaria in cui ti puoi sedere a riposare, e guardare lente le onde del canale annunciare l'arrivo di una barca, che giunge sempre all'improvviso, sinuosa e danzante, già vicina, libera dal nascondino del muro che mozza immancabilmente lo sguardo alla prima o seconda ansa.
Secondo me l'atmosfera di Venezia è così magica perchè la sua aria è fatta di milioni di sospiri di chi la vede e, trattenendo il fiato, se ne innamora.
L'arte è dappertutto a Venezia, che si acquerella da sola mentre si specchia sul mare, da riva a riva, ponte su ponte, sberleffo dei bevitori di ombre improvvisati poeti, autentici profeti del passato.
Quello che credo, poi, è che Venezia la possono amare davvero solo gli inquieti, perchè la possono sentire; tutti gli altri si fanno foto a Rialto e scarpinano per arrivare a San Marco prima della guida per riuscire a comprarsi una gondola di plastica e fare chees accanto a un gondoliere.
Di Venezia mi piace l'acqua, che è dappertutto, e tu ci cammini sopra, e la guardi dall'alto, ma è come se ci fossi contemporaneamente dentro, perchè è ovunque, anche nella voce della gente. Il dialetto dei veneziani è  un corso d'acqua pure lui: cosa cantilenante, un po' snob, certo aristocratico nel suo essere di gente unica al mondo, che del mondo pare non fare parte.
La notte a Venezia è uno sfondo di presepe, è una distesa di vetri rotti che lanciano riflessi, è il tocco del vento che viene dal mare tra i capelli, è la descrizione di uno stato d'animo buttata giù da un bravo scrittore, e uno sguardo che cerca di andare distante ma si infrange addosso al faro più vicino o alla sagoma di un ponte su cui c'è sempre un pedone solitario stretto nel suo cappotto.
A chiamarla città, Venezia, mi viene un certo fastidio, perchè della città non ha davvero nulla: nè il traffico, nè i palazzoni, nè le strade coi marciapiedi, nè i semafori nè la periferia pericolosa o la percezione costante di affari sempre imminenti. Venezia non è affatto una citta: ci entri e tutto il resto del mondo non sai che fine fa; è il posto del senso di meraviglia, delle cose che vedi e non tocchi ma che devi solo respirare. E' una cornice in cui si muovono i sentimenti, un set in cui le persone vivono quello che che hanno dentro, e il recitare quello che sono fuori passa a solo contorno. Un ballo in maschera che quando sali in treno e arrivi a Mestre ha già tutto un'aria di ridicolo.
Anche la nebbia, a Venezia, si inchina alla sua maestosità e, lungi dall'essere la bastarda del resto della Pianura Padana, le si accomoda intorno al collo e la ingioiella con una collana di dolce e delicata tristezza, vezzo di una vecchia signora che, seppur decrepita, non esce mai senza farsi bella per nessun altro se non per se stessa.
Ho sempre l'impressione, poi, che Venezia sia come i suoi gatti: se ne sta lì e in definitiva se ne frega abbondantemente degli altri, non le importa di apparire, lei solo sta, e ho il sospetto che sia nella sua indolenza di matrona che il mondo le riconosce il suo inscatolabile fascino.
Venezia è anche il tributo che la bellezza paga alla natura con le sirene e le passerelle e il naturale corso delle cose a cui si arrende flaccida e pigra, come i veri signori, lasciando l'inesorabile fare il suo corso, che la mangia a pezzetti, accarezzandola di acqua cattiva che tutto abbraccia, presagio di affondo.
La Venezia che conosco io ti aspetta in quegli angoli che scopri per caso, e poi non ti ricordi mai più la strada quando ci vorresti tornare, e quando inizi a rattristarti pare consolarti a modo suo, e colonne imponenti ti abbracciano gli occhi appena metti il naso in un piccolo campo, e la meraviglia ti prende, là, su gradini di marmo vecchi e scivolosi.
Venezia sono così tante cose che è come quando prendi un sospiro grosso e vorresti metterci dentro più aria, ancora e ancora e ancora, ma non te ne sta più. E' così malinconica che vorrei essere l'acqua che scorre tra le sue fondamenta, per non lasciarla mai.

martedì 19 luglio 2011

Nel cortile dei sogni, ciao Carlo

Non sono in nessun modo una fautrice della violenza, dell'anarchia fine a se stessa e dell'odio gratuito verso le forze dell'ordine, chè le trovo cose stupide, di una stupidità ignorante, ancora non più accecata da ideologia, ma da vero distacco dalla realtà.
Quello che però sono, e l'ho capito non so quando con precisione, ancora bambina, questo sì che lo so perchè lo sono sempre stato, è essere una che sta dalla parte dei sogni e di quelli che hanno sogni.
Quelli che hanno sogni, sono quelli che non gli basta l'adesso, o non lo possono proprio accettare, e allora si arrampicano su una scala a pioli che cresce dentro di loro, e nella speranza di arrivare da qualche parte, si arrabattano nella loro salita. C'è anche chi, semplicemente, di spazio per i sogni non ne ha neanche più, e dopo essere precipitato da qualche gradino alto, ha deciso di dire al mondo che di là dal muro, lì su, qualcosa c'è, ed è nel diritto di ognuno riuscire a toccarlo. Che poi sogni sono anche cose normalissime: un lavoro, una dignità, una giustizia sociale, un essere ascoltati perchè si ha una bocca, un pretendere di far valere il proprio diritto alla felicità, di far vivere i propri valori. Quelli che hanno sogni, poi, sono gente normalissima, magari anche timida, che una domenica aveva intenzione di andare al mare, ma invece ha cambiato idea perchè qualcosa non quadrava, ancora una volta, e quando è più forte di te, prendi e vai.
E quindi a proposito di sogni e gente che sogna, quei fattacci mi colpirono come una sassata in testa, come solo la morte  di un ragazzo, gratuita e spaventosa proprio perchè innaturale e ingiusta, può colpire una adolescente fatta di sogni e poco altro. Ventitrè anni che non sono niente, solo un corpo su cui passano sopra le ruote un paio di volte. Non voglio entrare qui nel merito dei fatti di Genova, chè il discorso, come tutti i discorsi dolorosi, non sarebbe e non potrebbe essere nè lineare nè univoco nè completamente obiettivo, ma mi va di salutare Carlo. Carlo, che da quanto ho visto e letto, manco doveva esserci a Piazza Alimonda quel giorno. Carlo che per me, lungi dal diventare un eroe, era uno di quelli che forse volevano solo dire io voglio un mondo diverso, lasciatemelo sognare.

venerdì 15 luglio 2011

Un pizzico di epica, plis

Ma.
Se salta fuori che una persona ti dedica un'opera del suo ingegno (che può essere un libro, una canzone, un album, una certa poesia, mettiamo), cosa devi dedurne e come ci si aspetta che ti comporti?
Vuole dirti qualcosa e non sa come dirlo? Devi chiedere spiegazioni? Devi ringraziare? In che modo? Basta un sorriso e un grazie o ci si aspetta una qualche ricompensa in natura? Devi iniziare a considerare la persona in questione sotto un'altra prospettiva? La persona ti spiegherà mai perchè l'ha fatto?

Niente, è che sono una che si fa molte domande e di solito non sa darsi risposte (che comunque sono sbagliate).

giovedì 14 luglio 2011

14 luglio 2011


Vi capita mai di svegliarvi e avere un sorriso ebete in faccia e sapere a malapena perchè?
E dirvi che effettivamente era da un pezzo che non vi capitava di rimettervi gli occhiali dopo la sedia elettrica della parrucchiera (tempo di totale buio del mondo nel quale la sadica può farvi letteralmente di tutto, tanto voi mica vedete una cippa) e inforcando i fedelissimi portatori di diottrie, guardarvi ed esclamare con soddisfazione Che figa!
E alzarvi la mattina con una leggera brezza tra le foglie dell'albero davanti la finestra di camera vostra, che ad allungare la mano le riesci a toccare. E il suono delle belle in verde che apprezzano le carezze, a quanto pare.
E trovare un sms di mattina prestissimo che ti dà un buongiorno ancora sonnacchioso, di chi conosce le tue abitudini e non sentivi da un po'.
E sapere che oggi magari.
E sentire non so come, che la vita sono tanti minuti di miliardi di cellule nell'ovunque.
E ascoltare sta canzone che mi fa sempre iniziare a ballare in maniera scombinata (la mia).
Mi sa che è anche l'emozione degli ultimi post.

mercoledì 13 luglio 2011

Segreto

Che infine a togliere strati, strati strati, e cancellate di sicurezza, e protezioni, e muri e cecchini e ad ammansire coccodrilli sotto il ponte levatoio, io sono questo.

martedì 12 luglio 2011

Is it really me?

Ora, io credo che lei sia sublime, e lui interpreti un personaggio affascinante per molti molti motivi (tutti scelti per affondarmi), ma soprattutto sto film mi ha fatto piangere come una cretina, ma nessuno mi ha visto, quindi tutto sotto controllo.
Ci vorrebbe un mago della pioggia per ciascuno di noi, bando ai fottuti specchi, ai nomi che ci danno e a quelli che scegliamo, ai capelli raccolti, ai tamburi e al non credere nei sogni.

Quasi quasi - premonizioni d'estate

Non so se sono una che crede alle premonizioni, diciamo che alcune volte mi è successo di essere certissima che qualcosa si sarebbe verificato, e invece nisba, e però molte volte il mio sesto senso (regolarmente dalla sottoscritta ignorato) ci ha preso. Però il sesto senso non credo si possa ascrivere alla categoria visioni del futuro, quindi comenondetto. E insomma, tutta sta pappardella perchè domani s'ha da fa, e stanotte ho sognato che davo ordini alla parrucchiera di farmi i capelli come i suoi. Mmmm...

Però mi vuole bene

L’altra sera si affrontava la sempre attuale questione su diritti e doveri all’interno della coppia, compromessi inclusi. Il dibattito è stato acceso, e ancora una volta mi sono stupita della mentalità di alcuni. Tagliando e incollando e soprattutto sintetizzando, mi va di illustrare anche qui la mia personale visione della faccenda, perché mi sembra interessante, e perché ne ho voglia.
E insomma, premesso che la base è sempre il rispetto e blabla, io mi impuntavo su un concetto che a quanto pare deve essere solo mio, perché pochi lo condividevano, e quasi sempre con riserve. Ora, per come la vedo io, una coppia è chiaramente un noi, ma è sempre, e deve rimanere sempre, un 1+1, dove gli uno sono irriducibili, atomi e forma ultima oltre la quale non c’è esistenza, e soprattutto possibilità di semplificazione (matematicamente parlando). E’ come un paletto oltre il quale non ci si può e non ci si deve spingere, ma soprattutto, secondo me, non si ha neanche il desiderio di spingersi, perché è giusto che sia così. Voglio dire, non credo che l’uno si debba perdere completamente nella coppia, né come convinzioni, né come idee, né come abitudini. Mica devo iniziare ad ascoltare i Nightwish perché sto con un metallaro darkettaro, mica mi devo iscrivere al pdl perché sto con un testa di cazzo, mica devo smettere di portare le All Star perché lui solo Prada. Non dovremmo permettere che la storia trasformi completamente quello che siamo. E con questo non sto dicendo che inevitabilmente, naturalmente, fisiologicamente, giustamente ci adatteremo in qualche modo a questa nuova condizione, ma che lo dobbiamo a noi stessi, di pretendere di restare noi.
E qui arriviamo all’esempio della serata, su cui i pettegolezzi non si sono risparmiati (caro M, non ti preoccupare per i fischi alle orecchie). State pronti, perché è successo a tutti, prima o poi:
Lei non vuole che lui abbia contatti con una amica (di lui).

Ora.
(bestemmia)

lunedì 11 luglio 2011

Uccisa dalla riproduzione casuale (titolo double face)

Bob, tu lo sai quanto io ti ami incondizionatamente per moltissime cose, tra cui la tua malinconia, il tuo sotterraneo dolore in ogni strofa, i tuoi improvvisi guizzi di gioia, per il tuo stile inconfondibile, per il tuo parlare di me anche senza conoscermi.

Però mi devi capire.

Mi devi capire, perchè se tu fossi stato intento a pedalare spensierato  nella campagna e d'improvviso la riproduzione casuale del tuo ipod ti avesse schiaffato nelle orecchie quella tua splendida canzone, direttamente dal passato, anche tu avresti avuto questa mia reazione:

Del tempo di finire


Ho iniziato così, perchè da qualche parte devo lasciar giù quello che penso/faccio/immagino, e anche a non avere nessuno che mi ascolta, mi dà l'impressione che invece sì. E insomma, mi ero data il tempo dei 100 post, così, per dire proviamo sta cosa ma non facciamola infinita, e ora mi accorgo che abbiamo già superato la novantina, quindi ecco, questo è un avviso di imminente chiusura. Ci sarà probabilmente un altro spazio che raccoglierà le gocce che sono io, o anche no, magari è solo tempo di vivere certe cose e basta, senza pensarle e domandarsi e rifletterci troppo su. Vediamo se ce la faccio.
Peccato per Red&Green, i due pesci a fondo pagina da giocarci col mouse per delle ore, vero motivo per cui mi sono imbarcata in questa cosa.
Sorriso.

domenica 10 luglio 2011

Cose che mi piacciono

Tipo, ste cose, io le adoro.

Momenti

Perchè poi io tendenzialmente sarei una sempre con sete, che mi sembra sempre che non ci sia mai qualcosa che mi disseta del tutto. Che manca sempre qualcosa, che ho perso sempre qualcosa, che sono arrivata sempre troppo tardi, che non ho saputo capire, che non ho voluto vedere, che penso di far bene e invece boh, che temo a partire, che mi lascio sopraffare, che dò ma non chiedo, che chiedo e non me n'accorgo, che mi sembra di non valere, che ad arrivare potrei incontrare ostacoli, che vedo cose che non ci sono, che amo cose stupide, che manco di patente per il qui, che parlo lingue sconosciute, che dò impressioni sbagliate, che arraffo ma non prendo mai, che penso ai se e ai ma, che vado forte o vado piano, che sussurro e non mi si sente, che guardo con occhi sbagliati, che di orologi sincronizzati non ne ho mai avuti, che faccio le  bolle e non c'ho più l'età, che preferisco tacere, che me ne frego e corro in bici quando c'è vento, che sto bene solo nascosta.
E poi invece un giorno basta un vestito verde nuovo che ti senti bella, il fresco sulle spalle dopo una giornata di canicola, certe canzoni accompagnate coi fianchi, e degli occhi a qualche passo di distanza che ti sorridono.

sabato 9 luglio 2011

Manine prensili e polmoni d'acciaio


Che sei arrivato in un giorno di fine aprile, quando tutti festeggiavano e mangiavano la frittata, ed era una festa di tutti e di tutte, e noi abbiamo saputo di te solo molto poi.
Che sei stato una sorpresa per i più vicini e i più lontani, e l'ansia mica era così sotterranea, ti sei fatto attendere da grande star.
Che sei stato aspettato da due occhi azzurri e due neri, pozze grandi e belle di paura e gioia cristallina e giovane e piena di amore, quello che non ha mica paura nè razionalità, quella degli adulti dentro e fuori.
Che ti ho visto stringere le manine microscopiche mentre eri anni luce dal nostro mondo, fendendo con un raggio silenzioso quello che conosciamo, che non è mai poi molto.
Che hai fatto un sacco di strada, e chissà cosa hai visto mentre arrivavi qui, e lo vorrei proprio sapere, se potessimo fare una chiacchierata, sguardo con sguardo.
Che hai portato una nuova famiglia, quiggiù, col tuo solo corpicino e una presenza da protagonista comico e da contemplazione.
Che ti ho sentito anche a questa distanza, piccolo velociraptor dai polmoni d'acciaio, e mi è venuto da sorridere pensando allo sfinimento e ai passeggi e alle ninnenanno sul braccio.
Che dal tuo pianeta ti sei portato una bella valigia, e dentro c'era un nuovo paio di occhi per le cose del mondo, e mica solo per te.
Che mi sono convinta che il tuo fosse un sorriso per me, lì, sotto quel palco che mi sa entrerà nelle tue vene, pure, chè ce l'hai nel dna, volente o nolente.
Che tu sia sempre in direzione ostinata e contraria, il mio augurio.
E insomma, questo è un benvenuto un po' sconclusionato per te.
Benarrivato Marcolino.
(E la dedica musicale, che non è mica a caso, e tu capirai.)

giovedì 7 luglio 2011

Piediperterra









Il giorno prima essere convinti di sapersi esprimere abbastanza decentemente, e il giorno dopo scoprire di non saper scrivere, non è una bella cosa.

mercoledì 6 luglio 2011

Gnorri

E ora, dopo il continua a leggere, un bel video nel quale i più accorti (io) potranno ravvedere svariati elementi, tra cui:

- difficoltà di smaltimento dei rifiuti pesanti
- falsità
- coprotagonista brutta per far risaltare la protagonista
- acconciature per svettare
- istanti di troppo che significano sempre qualcosa
- Goffman
- costruzioni e disfacimenti
- italiche visioni mozzafiato
- vendetta
- rivincita sociale
- pallore
- fallimento
-  supremazia delle zeppe su tacchi da zoccola
- incapacità mascula di capire cosa ha per le mani, e finire con qualcosa di indefinibilmente meno
- nullasicreanullasidistruggetuttositrasforma
- passare del tempo che schiarisce i capelli
- apparenza
- tragico momento di smonamento
- disagio
- lusso elegante
- trattenuti
- canotte bianche
-  inizio del tracollo, avvertito e devastante
- io so che tu sai
- arte recitativa
- ghiaccioli Sammontana
- tiè
- lei oltremodo cessa
- eleganza sublime delle longuette
- arredamento sobrio
- suicidio dell'autostima e ritorno
- fighitudine dell'uomo giaccato

martedì 5 luglio 2011

E di Terminator e di zanzare e di Medjugorje


Premesso che stasera arrivo e prima devo andare a recuperare mia nonna uscita per una passeggiata a prendere i freschi, e la trovo a 10 metri da casa, già alla prima tappa, intenta con garbo e orgoglio a raccogliere da vicine in ciabatte sbraitanti complimenti per come si è ripresa dai vari interventi e accidenti, che colorito, e che forma, e che aspetto! E l'avevamo vista così giù, così dimagrita, e secondo me pure un po' depressa (grazie eh). E lei a schernirsi e recuperare terreno nel sempre attraente tapis roulant delle sfighe, lamentandosi che adesso ci vede sempre meno, ma comunque sì, adesso oddio mica come un anno fa e sì sì diciamo che va meglino, però si diventa vecchi, cosa vuole, è una ruota. E insomma, dopo quaranta minuti a dare e ricevere informazioni tecniche ricamate di particolari di dubbia attendibilità, e banalità sulla salute di vecchi più o meno imparentati (menzionati, nell'ordine, vicino di casa, suocera inferma e madre defunta della chiacchierona vicina) e registare l'insoddisfazione della stessa per la disorganizzazione dell'ultimo pellegrinaggio a Medjugorje, chè erano tre pullman, troppa gente e manco hanno fatto a tempo a fare colazione in autogrill, ma lei c'era comunque già stata un po' di volte, e si pensi che non c'hanno niente, lì, manco un pronto soccorso, e se uno si sente male il prete col microfono chiede se tra i pellegrini c'è un medico, e alla fine salta sempre fuori qualcuno con quella borsa lì, che c'hanno le loro robe; e in tutto questo esserci  nel durante prese a schiaffi su braccia gambe, collo e appezzamenti vari di pelle bellicosamente attaccati dalle fameliche zanzare, infine facciamo ritorno al tinello, dove mio nonno è ipnotizzato dalla tv, regolarmente impostata a volume 73 su una scala da 1 a 80. Manco a dirlo, lì in qualche città americana si sparano e si ammazzano, chè mio nonno solo film di una certa avventura. Stasera tocca a Terminator, si vede che di Chuck Norris hanno già passato tutte le repliche, con serena rassegnazione del nonno fan.
Insomma, iniziamo a chiacchierare con mia nonna, quando li riconosco per quello che sono: straordinari Sandra e Raimondo mille volte più più. Il volume è effettivamente sull'insostenibile, e lei a un certo punto sbotta:

domenica 3 luglio 2011

Chi di silenzio ferisce, di silenzio perisce

L'intenzione era quella di scrivere un post arrabbiato sulla questione che il silenzio parla, sottolineando quanto il suo uso quale paravento mi stia sul cazzo, e il mood era più o meno questo

sabato 2 luglio 2011

Bugiarda no, reticente

Succede che una serata di inizio luglio, finalmente realizzo il sogno di vederla. E insomma, in realtà la vedo pochino, perchè lei sarà alta sì e no un metro e trenta, capelli suoi, inconfondibili, movimenti nervosi da teatro nelle vene, nel cuore e nella pancia, e una voce resa intermittente dalla malattia.
Le teste fra noi sono tante, tutte maledette nuche di gente dal metro e settanta in su, qualcuna che ciondola, qualcuna che si gira a drizzar le orecchie, qualcuna che si cala a baciare il suo amore. Io mi metto alta sulle punte, e quello che arraffo di questa donna, rantoli che portano sempre con sè strascichi di una professionalità intensa e di una intelligenza elegante, nitida, serena, nobile e ironica, è un tutt'uno con la mia emozione.
Mezz'ora e passa di intelligenza formato comicità.
L'ironia e l'autoironia come scudo e arma e carezza per il mondo.
Una eleganza un po' snob di chi ce l'ha nel dna, e gliela riconosci volentieri, di gusto, di sano rispetto e simpatia.

Questione di stile

La differenza tra me e te è che tu sei uno Swarovski, io un Sodini.

(Vai a cercare su Google, sì)

Riflessioni post Pride

Essere etero in un mondo pieno di gay bellissimi è un dolore.

venerdì 1 luglio 2011

Cose da tatuarsi nelle orecchie

C'è cosa più bella della libertà?
NO.

Tutto a suo tempo, e beviamoci sto te


Lei è una tizia a posto, una di quelle che si divertono e non hanno paura di dire la loro. Bella, chiaro, ma in maniera indiretta: una lentiggine sul naso, più che un occhio ombrettato.  Lui è un timido che, come tutti i timidi, ha dovuto scegliere tra il soccombere alla riservatezza endogena e l'esagerazione da buffone, unici due modi in cui la patologia plasma i suoi sofferenti. Chiaro poi che entrambi non sono quello che sembrano, che originalitè.
Detto questo, la storia va avanti a strappi e singhiozzi, con una lei che tradisce oceani di insicurezze e un lui inaspettatamente roccia, piccola tartaruga millenaria sotto una corazza gialla e verde, per dirne una. In mezzo non c'è posto per nessun altro - nessun altro che in definitiva si riveli un personaggio rilevante - perchè il piccolo mondo che rappresentano è in realtà tutto l'universo, stelle comprese. Le cose che succedono, secondari avvenimenti di questo sporco mondo, restano sempre sullo sfondo, perchè in primo piano l'unica e necessaria esplicazione del tutto è un incontro di satelliti che finiscono agganciati e non si mollano più. Mai del tutto, per lo meno.
Quello che succede, a tagliar corto, è l'esplicarsi di due persone, che pur in un incontro di esistenze rimangonono sempre e solo due, fotografate nelle loro glorie e nelle loro miserie, uomini come tutti in cerca di un posto nel mondo e di una tavoletta di cioccolato nella credenza.