Punto.
mercoledì 31 agosto 2011
lunedì 29 agosto 2011
Bricolage e altri passatempi cerebrali
Ma, andando all'osso, noi, esseri umani, siamo un insieme di piccoli cassettini che sono riempiti dalle (con le) varie persone che entrano a far parte della nostra vita? E, tipo, quando una persona è importantissima per noi si becca il cassettone grande, quello della biancheria e dei soldi di scorta? E poi, quando esce dalla nostra vita? Sarà sempre il suo cassettone, con dentro le cose solo sue, i suoi sorrisi e le sue pose più belle e le canzoni che solo lei e i suoi capelli e il suo vestito più elegante mischiati coi nostri ricordi di lei? Che quando gli passiamo accanto andando in un'altra stanza di noi, a volte succede che ci fermiamo e lo apriamo e tiriamo fuori qualcosa che ha un senso solo nell'allora, e poi riponiamo tutto con cura ancora lì dentro, tra la carta velina, che non si sciupi e non sgualcisca? O diventa luogo da subaffittare ai nuovi che arrivano a sostituire, che c'è da far spazio che giungono calzini freschi di filo? Com'è che funziona? Si cambia nome sul campanello? E la persona che c'era un tempo? Spodestata del sommo angolo, le resta almeno in affidamento (lo spazio di ) un piccolo cassettino di cui non ricordava di aver conservato la chiave finchè un giorno s'è messa le mani in tasca e se l'è trovata fra le dita?
Io il cassetto F. lo vorrei avere ancora in custodia, se possibile. Che lì dentro c'è una che ero io, ogni volta.
domenica 28 agosto 2011
Stavolta la mira l'aveva presa bene
Marco e Alessia si sono conosciuti all'università, studiavano cose diverse, e chiaramente lei non lo poteva sopportare. Quando li ho visti, oggi, in quel loro pezzo di mondo che sembrava uscito da uno dei miei sogni (verde a perdifiato, monti e pietre, vento e medioevo e case vecchie e esplosioni di fiori e acero noce cipresso frutti sui rami e giù ancora verde e l'altalena, uh, l'altalena), mi sa che sulla panca lì con noi c'era seduto anche quel semidio nudo amico di Pollon, e magari si faceva i cazzi suoi, ma stavolta la mira l'aveva presa bene e si gustava anche lui il risultato del suo ottimo lavoro.
E ricordo ancora le chiacchiere di me e lei, in ufficio: chè ci sono momenti in cui non lo so, le litigate sono furibonde, e siamo davvero diversi, e fatico a far capire tutto questo agli altri e penso che forse sono pazza io, e lui è orso orsissimo e non so se mi lascerà entrare nel suo mondo, lui dice di sì, ma io non vorei sentirmi ospite e però non lo so spiegare, sento che con lui sono a casa, e vivo. E poi c'è stato il velo e lei era bellissima e senza gli occhiali, e lui imbarazzatissimo, un bambino frastornato dalla baraonda in un vestito importante, e i loro progetti di qualcosa di lontano, di loro, di diverso, di rischioso, di coraggioso. E infine l'inaugurazione del loro agriturismo azienda dove zappano e tagliano e seminano e si asciugano il sudore e lei guarda lui che si è messo a farle la macedonia perchè lei non ha mangiato, e allora io sono tanto felice per voi, ecco.
sabato 27 agosto 2011
lunedì 22 agosto 2011
Di non essere abbastanza
Che ci penso stasera, che c'ho un mal di testa fotonico e ho appena deciso che s'ha da fa quella cosa. E quello che penso è che in definitiva abbiamo tutti paura. La paura però mica ce la mettono nella nostra confezione quando ci recapitano sulla terra, mi sa. Arriviamo Lego di carne piccola ma audace come fauce di leone, chè abbiamo il coraggio di mille eroi quando nasciamo e ci mettiamo a urlare in braccio a una sconosciuta che ci prende in mano mentre siamo sporchi dello sporco del mondo dall'altra parte, e ci mettiamo a strillare perchè si dovrà pur fare casino con quello che è successo, no? E lì sì che il mondo ce lo abbiamo in mano.
Poi ci mettiamo a fare la cosa più sbagliata del mondo, ovvero crescere, e lì la paura entra nelle tasche delle nostre gonne a pantalone che la mamma ci faceva fare dalla sarta, ma che abbiamo sempre odiato odiatissimo odiatissimissimo, e lì ci restano, a pochi cm dalla nostra pelle. E la paura era solo una taglia più piccola di quella che poi ci avrebbe accompagnato nei teen e negli enti, pure negli enta e se tutto va bene anche negli anta, mi sa. E la storia è sempre la stessa. Paura di deludere, di non saper essere felici, di non capire quando si è felici, di essere felici soli, di dimenticarsi di essere felici, di sognare sogni sbagliati, di non avere più tempo, di essere onesti, di aver aperto la porta sbagliata, di farci sfuggire le parole e le mosse giuste, di vedere gli occhi di chi soffre, di non capire quando è il momento di agire, di non capire quando è il momento di tacere, di rinuncare troppo presto, di insistere troppo, di dirci la verità cattiva, di lasciare tutto quello che abbiamo, di ammettere, di varcare confini, di non riuscirci ancora una volta, di non sapersi spiegare, di non arrivare lì in fondo, di affidarci, di capire male, di rinunciare alle sfide, di perdere le sfide, di combattere il destino, di morire, di avere sempre voglia di sparire, di mancare di appoggi, di non essere abbastanza. DI NON ESSERE ABBASTANZA.
Poi ci mettiamo a fare la cosa più sbagliata del mondo, ovvero crescere, e lì la paura entra nelle tasche delle nostre gonne a pantalone che la mamma ci faceva fare dalla sarta, ma che abbiamo sempre odiato odiatissimo odiatissimissimo, e lì ci restano, a pochi cm dalla nostra pelle. E la paura era solo una taglia più piccola di quella che poi ci avrebbe accompagnato nei teen e negli enti, pure negli enta e se tutto va bene anche negli anta, mi sa. E la storia è sempre la stessa. Paura di deludere, di non saper essere felici, di non capire quando si è felici, di essere felici soli, di dimenticarsi di essere felici, di sognare sogni sbagliati, di non avere più tempo, di essere onesti, di aver aperto la porta sbagliata, di farci sfuggire le parole e le mosse giuste, di vedere gli occhi di chi soffre, di non capire quando è il momento di agire, di non capire quando è il momento di tacere, di rinuncare troppo presto, di insistere troppo, di dirci la verità cattiva, di lasciare tutto quello che abbiamo, di ammettere, di varcare confini, di non riuscirci ancora una volta, di non sapersi spiegare, di non arrivare lì in fondo, di affidarci, di capire male, di rinunciare alle sfide, di perdere le sfide, di combattere il destino, di morire, di avere sempre voglia di sparire, di mancare di appoggi, di non essere abbastanza. DI NON ESSERE ABBASTANZA.
domenica 21 agosto 2011
mercoledì 17 agosto 2011
Il riposo dei giusti
All'ombrellone n.6, prima fila fronte mare, si disquisisce di Umberto Eco e Guido Gozzano ma pure della Ventura e di Belen. Io se mi conoscessi adesso mi innamorerei seduta stante di me.
ATTO I
Ad arrampicarsi, pancia in giù sulla sdraio in direzione onde, si possono scovar scene delicate e un poco retrò: un tizio calvo in mare abbracciato al suo canino che teme l'acqua, il venditore di aquiloni che fa pausa sigaretta e quasi non decapita un marmocchio col filo pendente, due corpi bianchi bianchissimi che si tengono per mano mentre schizzano coi piedi urtando il bagnasciuga dei loro passi.
All'improvviso entrano in scena i veri protagonisti: punte delle orecchie in rapida fase di abbrustolimento; sguardo finto disinteressato al tizio incredibilmente affascinante che incredibilmente passava di lì, occhiata d'intesa e palette in alto - votate - voto 8 e 1/2; uomo del lettino di fronte (fedifrago, scoperta ignobile) che precipita, vinto dalla forza di gravità, sempre in posizione orizzontale nonchè con suddetto lettino sulle sue fedifraghe membra; svariati skip alla riproduzione casuale dell'Ipod che ripropone il passato nelle varie versioni pop, rock, smielè; parte bassa del mio nuovo costume che vive di vita propria mettendomi in serio imbarazzo; spiaggiamento in riva a mò di foca monaca con corredo di sabbiature e sguardi che mi sanno troppo lascivi, prima di capire che sembro una che fa la lotta nel fango - mi risciacquo, va; risate belle e di pancia come non da un po' e paninazzo speck formaggio e funghi con vista su.
CONCLUSIONE
Domani, altri lidi. Poi, per qualche altro giorno, stessa spiaggia stesso mare. Considerato come sto, potrei anche mettermi a cantare questo.
martedì 16 agosto 2011
Un paio di cose da chiarire
Premesso che nessuno è obbligato ad avere a che fare con me, è il caso di avvisare gli eventuali arditi che ci sono alcune cose che è bene che sappiano, così, giusto per non venire a recriminare a posteriori, o piagnucolare che loro non lo sapevano.
Quindi, sono una persona solitaria, mi piace stare per i cavoli miei, sto col naso in un libro o con la testa fra i miei pensieri, che o sono storie, o sono riflessioni, o sono osservazioni senza direzione. Smettiamola con questa storia dei non ti fai mai sentire, che la posso capire da chi mi ha visto una volta per caso, ma non da chi con me vanta legami e relazioni, chè allora della sottoscritta non avete capito un cazzo, e godete a farmi sentire in colpa per quella che sono. Soffro a dover spiegare la tendenza all'isolamento, mi sento fuori posto con persone troppo mondane o troppo giuste, in generale con chi non conosco, anche se mimetizzo l'imbarazzo con una dose sufficiente di banalità, moneta corrente in questi giorni di superficie piatta e lustra. E di solito funziona.
Non sono una che abbraccia, tocca, tasta gratuitamente, e se me lo vedete fare, significa che sono innamorata come una peracotta. Non se ne abbiano a male, quindi, amici e conoscenti verso cui non provo l'istinto di abbracci e baci: niente di personale, sono solo io.
Tecnologica per destino, per vocazione, per generazione e per auto conservazione, apprezzo una telefonata se ci si chiede che fine ho fatto, fanculo facebook, le mail e le mille diavolerie targate www.
Fatico a dare possibilità a qualcuno, ma forse è che davvero di rado trovo qualcuno a cui darne.
Se mi affeziono divento leale anche nel fuoco, vendicativa se tradita.
Quando mi sento trattare come una deficiente da qualcuno che stimavo e a cui voglio bene, dopo l'incredulità e la doccia fredda - freddissima - della realtà che si mostra per quella che è (cretina io che non l'avevo vista prima), mi tengo per me il mio sbrego dolente, tiro una riga e addio e grazie.
In ultima, di gente che vuole far parte della mia vita a part time, non so che farmene.
Quindi, sono una persona solitaria, mi piace stare per i cavoli miei, sto col naso in un libro o con la testa fra i miei pensieri, che o sono storie, o sono riflessioni, o sono osservazioni senza direzione. Smettiamola con questa storia dei non ti fai mai sentire, che la posso capire da chi mi ha visto una volta per caso, ma non da chi con me vanta legami e relazioni, chè allora della sottoscritta non avete capito un cazzo, e godete a farmi sentire in colpa per quella che sono. Soffro a dover spiegare la tendenza all'isolamento, mi sento fuori posto con persone troppo mondane o troppo giuste, in generale con chi non conosco, anche se mimetizzo l'imbarazzo con una dose sufficiente di banalità, moneta corrente in questi giorni di superficie piatta e lustra. E di solito funziona.
Non sono una che abbraccia, tocca, tasta gratuitamente, e se me lo vedete fare, significa che sono innamorata come una peracotta. Non se ne abbiano a male, quindi, amici e conoscenti verso cui non provo l'istinto di abbracci e baci: niente di personale, sono solo io.
Tecnologica per destino, per vocazione, per generazione e per auto conservazione, apprezzo una telefonata se ci si chiede che fine ho fatto, fanculo facebook, le mail e le mille diavolerie targate www.
Fatico a dare possibilità a qualcuno, ma forse è che davvero di rado trovo qualcuno a cui darne.
Se mi affeziono divento leale anche nel fuoco, vendicativa se tradita.
Quando mi sento trattare come una deficiente da qualcuno che stimavo e a cui voglio bene, dopo l'incredulità e la doccia fredda - freddissima - della realtà che si mostra per quella che è (cretina io che non l'avevo vista prima), mi tengo per me il mio sbrego dolente, tiro una riga e addio e grazie.
In ultima, di gente che vuole far parte della mia vita a part time, non so che farmene.
lunedì 15 agosto 2011
Dici a me?
Ti te sì na brava tosa
che sabo e venare riposa
saria da torte come sposa
ma stasera te voio vergognosa.
(mudandoni de lana e giubbin e scatta l'autobiografia)
domenica 14 agosto 2011
Piccole cose belle
Che bello.
martedì 9 agosto 2011
Naftalina
Quando arriva, la morte, intendo, è sempre una cosa che ti sa di assolutamente estraneo, assurdo, innaturale. Almeno quando arriva per gli altri, per quelli che ti stanno intorno, per quelli che hai sentito fino a ieri al telefono, di cui hai visto circolare i vestiti per casa, di cui hai parlato fino all'altro ieri; quando toccherà a me, non so. E certo, si dirà che arrivati a novant'anni si aveva vissuto eccome, ma sono i soliti discorsi che si fanno perchè non si sa cosa dire, chè la morte, bene o male, lascia senza parole sempre, e il modo più economico per riempire questo spazio è la banalità.
Saranno quelle parole in una telefonata fatta di corsa, mamma stasera non torno a cena, e una doccia fredda, di piccoli spilli, in piedi, davanti alla porta della cucina, vestita, là. Non è che perchè uno ha novant'anni, si sia sia meritato di morire. Come non si era meritato di vivere, per carità.
E insomma, sono contenta di esserti venuta a trovare in quella casa di riposo che all'inizio mi era sembrata quello che in effetti è: un parcheggio di vecchi. E poi però li ho visti vivere come si vive in una famiglia, solo ognuno stretto nelle sue ossa, chi consapevole, chi nel suo mondo. E tu ci avevi portato nella chiesetta, "così quello non ti viene a chiedere le caramelle" che invece poi era venuto lo stesso, e io gli avevo allungato una Golia, e lui forse mi aveva sorriso con quel mezzo ghigno sghembo, caverna di due o tre denti. E lì avevi chiacchierato fitto del nuovo nipotino, e mi chiedevi di me, e mi tenevi la mano come fanno sempre i vecchi, e la tua pelle sottile era carta velina sulle vene blu, che le sentivo pulsare di sangue che andava lento. E avevi voluto dire un'Ave Maria insieme - ci tenevi così tanto - e poi avevi iniziato a bisbigliare qualche latinismo religioso dei tuoi tempi, prima di segnarti e salutare il tuo Signore. E qui c'è la sala, e lì, vedi quella lì, quella è cattiva e mi fa i dispetti. Forse è lei che mi ruba la crema. Guarda tutti torvo. E di là c'è il refettorio, stasera minestra e roba leggera. Poi si guarda la tv.
Ci siamo salutate dopo che avevo rifiutato la tua mancia "per il gelato", e dalla porta a vetri muovevi la mano ciao ciao, piccina com'eri, col tuo sorriso soddisfatto e smorzicato dalla dentiera. Era ieri che i tuoi vestiti lavati e pronti da recapitarti avevano diffuso nella cucina di casa mia quell'insopportabile odore di naftalina, e chissà perchè i vecchi amano così tanto la naftalina. E in quel momento sei apparsa lì in mezzo a noi, all'improviso ci siamo messi a parlare di te, anche se alla tv c'era il tg.
Saranno quelle parole in una telefonata fatta di corsa, mamma stasera non torno a cena, e una doccia fredda, di piccoli spilli, in piedi, davanti alla porta della cucina, vestita, là. Non è che perchè uno ha novant'anni, si sia sia meritato di morire. Come non si era meritato di vivere, per carità.
E insomma, sono contenta di esserti venuta a trovare in quella casa di riposo che all'inizio mi era sembrata quello che in effetti è: un parcheggio di vecchi. E poi però li ho visti vivere come si vive in una famiglia, solo ognuno stretto nelle sue ossa, chi consapevole, chi nel suo mondo. E tu ci avevi portato nella chiesetta, "così quello non ti viene a chiedere le caramelle" che invece poi era venuto lo stesso, e io gli avevo allungato una Golia, e lui forse mi aveva sorriso con quel mezzo ghigno sghembo, caverna di due o tre denti. E lì avevi chiacchierato fitto del nuovo nipotino, e mi chiedevi di me, e mi tenevi la mano come fanno sempre i vecchi, e la tua pelle sottile era carta velina sulle vene blu, che le sentivo pulsare di sangue che andava lento. E avevi voluto dire un'Ave Maria insieme - ci tenevi così tanto - e poi avevi iniziato a bisbigliare qualche latinismo religioso dei tuoi tempi, prima di segnarti e salutare il tuo Signore. E qui c'è la sala, e lì, vedi quella lì, quella è cattiva e mi fa i dispetti. Forse è lei che mi ruba la crema. Guarda tutti torvo. E di là c'è il refettorio, stasera minestra e roba leggera. Poi si guarda la tv.
Ci siamo salutate dopo che avevo rifiutato la tua mancia "per il gelato", e dalla porta a vetri muovevi la mano ciao ciao, piccina com'eri, col tuo sorriso soddisfatto e smorzicato dalla dentiera. Era ieri che i tuoi vestiti lavati e pronti da recapitarti avevano diffuso nella cucina di casa mia quell'insopportabile odore di naftalina, e chissà perchè i vecchi amano così tanto la naftalina. E in quel momento sei apparsa lì in mezzo a noi, all'improviso ci siamo messi a parlare di te, anche se alla tv c'era il tg.
Mi mancherà il tuo sussurrare il mio nome mentre mi chiedi se sono la Francesca o la Giulia, e il tuo piccolo sorriso che si allarga con gli occhi, mentre ti giri ai fornelli e metti a scaldare l'acqua per il the.
lunedì 8 agosto 2011
2 settembre sfilata!
E a parte questo, non ho molto altro da dire (eccetto: senti che bello sto ventoooo).
Più che altro volevo una scusa per mettere questa canzone, che è sempre un cazzo di capolavoro.
Cheers a voi, orsetti.
domenica 7 agosto 2011
Timidezza e altre tecniche di karakiri
Un po' inquietante in certi momenti, devo dire che comunque mi stai simpatico, e riconosco che sei molto disponibile, nonchè preparato nel tuo lavoro. Però, ecco, se potessi evitare di parlarmi tenendo disinvoltamente e perennemente i tuoi occhi ad altezza Lovable, te ne sarei grata. Voglio dire, sei totalmente carente di quella capacità di guardare senza farti beccare, e la cosa è per me imbarazzante e fastidiosa, a tratti divertente ma più che altro odiosa. Ti manca completamente quella mobilità oculare sottile ed essenziale per lo scandaglio inosservato, che va affinata col tempo, certo, e che i maschi solitamente iniziano ad allenare fin dalla pubertà, per prendersi avanti. Va detto, certo, che si tratta di pratica non esclusivamente maschile, e ci mancherebbe altro. Io sono campionessa indiscussa di suddetta pratica, che il 99% delle volte porto a perfezione assoluta, evitando direttamente di guardare l'oggetto del desiderio, più che altro per timidezza, pensa che genio. Pertanto se non ti guardo, è probabile che tu mi piaccia (tu uomo ipotetico, non tu di cui sopra! ndr). Ma anche no. (ok, sì, sono delle parole crociate senza schema, e chi mi risolve è come minimo un Bartezzaghi, chettedevodì?) A volte però mi trovo in ambiente e situazione ideale, come l'altra mattina in autobus, quando ho potuto rimirare di sottecchi il tizio ragazzo figo seduto a mio favore qualche fila più avanti. Presente quei ciuffi buttati là a caso (che non è mai a caso), sguardo malinconico al finestrino, occhi di una certa intensità, felpina sportiva non male, compostezza rilassata, mani come si deve? Ecco. Insomma, per una bella mezz'ora io e la mia tecnica di ti sto guardando ma non ti sto guardando, abbiamo scansionato il soggetto in questione, il quale un paio di volte deve essersi sentito tirato per la giacchetta, dato che ha alzato lo sguardo beccandomi in pieno mentre dietro occhiali da sole mai schermanti del tutto, dannati, correvo imbranatamente ai ripari con occhi in rapida fuga, tradita meschinamente dal colore del viso in repentina evoluzione dal rosso tiziano al viola prugna, andata e ritorno. Improvviso, dopo un sonoro "cazzo!" mi è balzato in mente quel verso che fa "chissà se ne ridi o se ti fa piacere", che è una cosa che penso spessissimo, considerato che tipo di regali faccio, che tipo di attenzioni porto, che tipo di persona sono.
I conoscenti che mi dicono quindi che non li saluto per strada ora dovrebbero capire, e perdonernno la mia apparente stronzaggine (nonchè miopia, non dimentichiamlo), ma è evidente che sono troppo presa a studiare asfalti, attraversamenti pedonali prossimi, arredo urbano e appigli visivi in genere. Detto in altre parole, io quando sto in giro cerco di mimetizzarmi, studio le piastrelle, guardo per terra ed evito sguardi che potrebbero piacermi. Non so se capite come sono messa.
sabato 6 agosto 2011
Io dico, lasciatevi
Allora io dico. Mi stai chiedendo un consiglio? No, perchè ok amici e confidenti, ma non ho intenzione di essere il dirupo a bordo strada in cui buttare la spazzatura, per cui se lo vuoi sapere, io la mia l'ho detta. Titolo docet e grazie per tutto il pesce (che è una chiusura che ci sta sempre).
giovedì 4 agosto 2011
Se una notte d'estate una viaggiatrice
Sere in cui la compagnia dei miei pensieri è meglio di qualunque telefonata, televisione, chat, bip. E infine prendere lente quelle strade che di giorno hanno addosso la fretta di gente che non ha tempo di accorgersi che loro portano sempre da qualche altra parte, sempre un po' più in là, se uno un giorno volesse scoprire dove vanno a morire.
E iniziare a corteggiare serratamente la manopola del volume, perchè quando trovi canzoni come questa, cantare in preda allo spirito divino di una Tina Turner de noantri è puro pilota automatico. Scivolo.
martedì 2 agosto 2011
Facciamo diciassette
1. C'hai trent'anni, mica 20, ed è ora che inizi a frequentare gente della tua età, pirla.
2. Che bello fare la pace. Bello bello bello.
3. Oggi c'era una canoa nel fiume sormontato di riflessi al tramonto, e io l'ho vista di sfuggita, mentre tenevo il tempo col piede zeppato, naso appiccicato al finestrino. Figata, non so perchè.
4. Estate è insalata di riso.
5. I tacchi slanciano, rassodano e attirano sguardi. Ma se li attiri anche a piede rasoterra, sei una spanna più in su senza bisogno degli odiosi orpelli, brutta cessa NANA.
6. Giornalisti, my dear.
7. I tempi sono maturi per comprare un orologio.
8. Mettere in conto di venire bellamente dimenticati una volta che non serviamo più a qualcuno che fino a due settimane prima ci leccava il culo per ottenere il suo scopo.
9. Donne in carriera bel tempo si spera.
10. E le telefonate che ti fanno sorridere mentre guardi nel vuoto e pensi a quanto sei legata a quella voce.
11. Dispiacersi per quelli che sono troppo impegnati ad essere contro, e non si rendono conto di quanto tutti questi siano giorni che mangiano i loro giorni.
12. Che palle quelli che "Ligabue il pittore, mica penserai che parlo di quello sfigato che canta": datevi fuoco con la vostra spocchia da quattro soldi, cretini.
13. Città vuota d'estate, i love.
14. Se ti interessa come sto e cosa faccio, abbi il coraggio di chiederlo.
15. Andare a letto sapendo di aver fatto qualcosa di buono per qualcuno è una bella bella carezza prima dei sogni.
16. Sei originale come un martedì che segue un lunedì.
16 bis. Domandarsi perchè la fabbrica di uomini affascinanti attraenti bellissimi e maledetti ha chiuso i battenti quando ero una lattante.
17. Se adesso mi volessi fare un massaggio qui, potrei anche tenerti con me foreverandever.
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