venerdì 10 giugno 2011

E Bruttezza vinse su Bellezza

Quando sono nei pressi di una libreria, istantaneamente mi trasformo in Ulisse o in un topo, preda ora delle sirene, ora del pifferaio magico. Il più delle volte vincono i ratti, dato che non riesco a tirare dritto, ma entro, in stato di trance, solo per dare un'occhiata (...).
Per anni medaglia d'oro incontrastata, ultimamente la Feltrinelli è stata declassata nella mia personale classifica di luogospacciameraviglie, scalzata dalla più fruibile, tranquilla, musicalmente eccellente e di personale-figo-dotata MelBook, ma ieri ero nei pressi della rossa, e le porte automatiche di fronte a me non mi hanno lasciato il tempo di dire no (in realtà hanno un ritardo di qualche secondo all'apertura, che mi fa sempre vergognare come una ladra, per cui comincio a guardare con sguardo nervoso la fotocellula e improvvisare quegli stupidi balletti da Apriti Sesamo).
E insomma, la snob Feltrinelli, coi suoi commessi immancabilmente impegnati in frenetici ticchettii sui terminali sospesi qua e là, dotati da contratto di espressione infastidita, saccente e occhialata, mi è sembrata strabordante di materiale. Chiaramente non ho trovato quella rivista che cercavo per fare un regalo di quelli che ooooh, ma diversi altri titoli hanno trovato me, e questa non è una bella cosa.
Essendo che io, manco un'allodola, mi faccio prendere dagli specchietti di titolo e copertina, ho intercettato in un solo scaffale sette o otto papabili pargoli letterari da adottare. Poi mi sono auto imposta di essere ragionevole, e siamo saliti a dieci. Dandomi quindi una pacca sulle mani, ho svoltato alla zona Arte, sperando di incappare in qualche monografia dei noiosi impressionisti, invece mi sono ritrovata a sbavare di fronte a due titoli che da tempo mi ispiravano bramosia. Trattavasi delle due facce della stessa medaglia, e si dà il caso che la medaglia fosse il Dio Umberto Eco, per cui mi sono ritrovata a soppesare ora questo, ora questo, così, un buon sette otto minuti, uno su una mano, uno sull'altra, a decidere quale dei due. Considerando poi la mia predilezione per il reietto, l'attorciglia budella, il rifiutato dagli altri, lo scarto unanime e l'artisticamente forte, ho optato per i brutti, e con occhi da cocker cui sono passati sopra la zampa con la macchina, ho deposto il gemello buono (bello) per il prossimo giro alla Felt.
Sulle nuvole ed entusiasta come quando da marmocchia mi comprarono una PollyPocket, giravo i tacchi in direzione cassa, non prima di essere intercettata da un volumetto tutto lungo e stretto, copertina stoffata, di arte floreale giapponese.
Veloce sfogliata, occhiata al prezzo, tuffo al cuore. Andiamo avanti, va. In quello le sirene dei dannati mi chiamano a gran voce: due Taschen in bella mostra su Freud e Hopper mi strizzano l'occhio. Grazie a dio sono incellofanati, quindi non sfogliabili. Presa dal panico, scappo di gran carriera ripetendomi il mantra autoconvincente "Come me li porto via anche quei volumazzi? La macchina è distante, non ho una carriola, e a casa ho più libri che mattonelle".
Lacrime amare rigarono il mio volto in coda alla cassa.
Chiaro che quei due lì mi rivedranno presto. Faccio spazio.

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