domenica 20 febbraio 2011

Imbarco ore 22.35

Dunque. Ho un profilo su Myspace da quattro anni, sto perdendo i miei anni migliori tirando su bestiole virtuali su Facebook, ho provato per mezz’ora l’ebbrezza di donare al web i cazzi miei formato pillole via Twitter, mi propongo professionalmente su LinkedIn, seguo poco seriamente ma con molto trasporto questo blog, so postare contenuti multimediali e il mio pc ha una schermata costantemente sintonizzata su Youtube, eppure venerdì mi sono sentita tecnologicamente di un’altra generazione.
Ora, niente a che fare con Ipad e ammennicoli vari per leggere il quotidiano su tavoletta: parlo di cinema, e neanche cinema inteso come 3d, ma proprio edificio. Quattro mura, un paio di porte, la cassa, la sala e le meravigliose tende di velluto. Ecco, questo per me è sempre stato il cinema, fin dalla prima proiezione cui ho assistito nella mia vita, credo fosse Biancaneve e i sette nani - i miei mi ci portarono sotto Natale mi sa. Ed è proprio nello sfondo di un cinema  che conservo uno dei miei primi ricordi in assoluto: le lucine sotto ai gradini della sala. Lucine per vedere dove mettere i piedi, fantastico, pensavo, dal mio metro e qualcosa, mentre qualcuno per mano mi faceva scendere alla nostra fila e tirare giù il sedile dentro al quale avevo sempre paura d’incastrarmi, o perdere la giacca a vento o caderci sotto.
Insomma il cinema era quello, che io sapessi. Ma venerdì qualcosa di mostruoso si è impossessato di questo concetto.
Quando siamo arrivate il parcheggio interrato era già mezzo pieno, e abbiamo dovuto memorizzare il reparto per non rischiare, dopo due ore di New York e sentimenti egregiamente rappresentati, di dimenticare dove la Micra ci avrebbe atteso senza fiatare.
A questo punto, AEROPORTO.
Questa è stata la mia sensazione. Mi sembrava davvero di essere partita per andare a vedere Come lo sai, ed essere arrivata a Orio al Serio.
Cinquantasei metri di porte a vetri con relativi SPINGERE, e ditate di chissà quanti cinefili (…) ci si parano tra i colori del dentro e il fumo delle sigarette minorenni del fuori. All’interno, facce all’insù fissano con l’attenzione del cacciatore di frodo monitor che fluttuano nel nulla, praticamente a ogni metro e mezzo. Sugli schermi, orari lampeggianti, pagine che scorrono via prima di essere riusciti a leggere l’ultimo titolo, numeri di sale e nomi di attori stranieri.  Sotto, facce di ragazzi in unifomi scandalosamente antiestetiche, dietro vetri antirapina, sono probabilmente collegati con l’FBI tramite utile microfonino col quale propagano la loro voce di qua a volume da Bug’s life. Mi abbasso a declamare il nome del film, e scegliere la migliore postazione ancora disponibile sentendo sulla pelle il fastidio della mia interlocutrice alla mia esitazione per il ballottaggio che nella mia mente vede contendersi bassi centrali VS alti laterali. Ansia del pagare uguale a quella che mi attanaglia in coda al supermercato. (Non si sa perché ma pare che tutto il mondo abbia ansia di saldare qualsiasi conto).
Presi i biglietti, gente che si sparpaglia a provare videogames – gli stessi che hanno spento a casa 16 minuti prima – o che si getta all’acquisto di popcorn formato famiglia di una volta. Spazio immenso con: un deserto salta salta pieno di palline, cartelloni di film in uscita o usciti o pietre miliari che non è saggio eliminare, gigantografie di Kristen Stewart ancora avvinghiata a uno con le lenti a contatto gialle, volantini everywhere della prossima programmazione, una pulizia imbarazzante, la caffetteria con un solo barista sull’orlo della disperazione.
Avanziamo e mi affaccio alla libreria d’ordinanza, con i bestseller quasi fuori della porta, e esco per non vomitare, non so perchè.
La mia amica mi trascina e vedo che guarda in alto. Ancora monitor, non ci posso credere. Ancora i titoli con gli orari…e tutta sta gente in attesa? (gente ammucchiata in disordine ma ubbidientemente in coda, ndr). Aspettano l’apertura della sala. Giuro, un imbarco. Di là dell’invisibile cortina, un nanetto in divisa blu e gialla pronto a strappare biglietti costati 8,00 euro, scale mobili e la garanzia di qualcosa d’altro.
Vista da così, il cinema e l’aeroporto hanno in comune la promessa di un nuovo mondo, mi ripeto mentre prendo posto sulla mia mega poltrona accanto a coppia in scartamento di chewing gum. Quindi, dieci minuti di spot e via, pronti, si parte. Peccato per la Micra giù ad attenderci, neanche due ore dopo.
Come sono vecchia.

1 commento:

  1. sei un artista...descrivi cosi bene che sembra esserci stata li con te :-)...te si massa forte!!! bacione

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